Corrado Viola. Intervista ad Apostolo Zeno

 

Corrado Viola

Intervista ad Apostolo Zeno

I. In limine alla sua Vita di Apostolo Zeno (1816), Francesco Negri ricorda che prima di lui un altro letterato veneto aveva pensato a una biografia dello Zeno: Marco Forcellini, già editore delle Lettere zeniane[1]. Questi si era munito di molti reconditi lumi; ed i principali gli cavò dalla fonte migliore di tutte, vale a dire dalla stessa bocca di Apostolo. Era egli al buon vecchio affezionatissimo e devoto quant’altri mai, e negli ultimi anni del viver suo, recandosi a visitarlo quasi ogni giorno, cercava di far sì ch’entrasse a discorrere di se stesso, e di mano in mano che qualche cosa venivagli udita meritevole di ricordo, tornato a casa, registravala per modo di Diario in alcuni suoi scartafacci, per farne a suo tempo discreto uso. Morì finalmente Apostolo[2]; né l’altro depose mai il pensiero di accignersi ad un’opera per cui aveva parte de’ materiali in pronto, e parte poteva di leggieri procacciarsi d’altronde. Ma […] venne anch’esso dalla morte colto[3] prima che l’ideato lavoro s’incominciasse, ed intanto li suoi non iscarsi apparati caddero nelle mani degli eredi, e là si giacquero a lungo, non vo dir negletti, ma certamente oziosi[4].

Il Negri si era allora messo in traccia di quelle «memorie sì pregevoli» raccolte dal Forcellini, ma invano; finché un giorno (suppergiù dieci anni dopo la morte del Forcellini) Giulio Bernardino Tomitano, il celebre bibliofilo, gli annuncia per lettera d’essersi «fatto possessore del Diario forcelliniano» e di «un numero grandissimo di lettere del Zeno non ancor pubblicate», e di essere disposto a trasmettere al Negri tutti quei preziosi materiali, purché questi se ne valga davvero per una biografia dello Zeno[5]. Accettata la condizione e ricevuti i materiali, il Negri pone «mano all’opera; né fu picciolo il fastidio di raccorre, di restringere, di connettere, di ordinare ciò che il Forcellini aveva così alla buona e confusamente gettato su’ suoi fogli»[6]. La «fatica» maggiore, poi, fu «spogliare le mille trecento lettere zeniane che abbiamo a stampa, non che le altre mille mss. di recente pervenutemi alle mani»[7] (quelle, cioè, già raccolte dal Forcellini e passategli dal Tomitano); spoglio reso necessario «per supplire alle tante cose che nel Diario registrate non erano»[8]. Degna di nota anche la precisazione finale del Negri: quando il lettore si imbatterà «in alcuni racconti minuti e, per così dire, dimestici», prenda per «mallevadrice della loro sincerità la fede del Forcellini, non la mia»[9].

            A detta del Negri, dunque, il Diario zeniano del Forcellini sarebbe: fonte principale della sua Vita di Apostolo Zeno; fonte esclusiva per alcuni dettagli – privati o domestici – che vi si ritrovano. Suo peculiare, del Negri, sarebbe invece un duplice lavoro: di riordino del Diario forcelliniano a fini compositivi-narrativi (biografici); di integrazione del Diario sulla base delle informazioni tratte dalle lettere edite e inedite. Ora, la Vita dello Zeno scritta dal Negri è tuttora la principale voce della bibliografia sul letterato veneziano: non è senza importanza, pertanto, tentare di verificarne i rapporti con il Diario zeniano del Forcellini; tanto più che quest’ultimo, forse perché rifluito, come s’è visto, nella biografia del Negri, è stato da questa oscurato, senza mai richiamare particolari attenzioni da parte degli studiosi.

II. Sulle tracce del Diario zeniano ci mettono le vicende postume della raccolta Tomitano. Morto il Tomitano nel 1828, la sua raccolta andò dispersa: un centinaio di manoscritti furono venduti dagli eredi a Londra, nel 1840, e in parte acquistati da Guglielmo Libri[10]. Il Libri, questa curiosa figura di matematico, storico della scienza, patriota, bibliofilo (e trafugatore di libri e di manoscritti tra Italia e Francia), mise in vendita verso la metà degli anni Quaranta la sua collezione, che fu acquistata da un altro celebre bibliofilo, lord Ashburnham; morto l’Ashburnham (1878), il fondo Libri fu infine acquistato dal Governo italiano per la Laurenziana nel 1884[11]. E infatti, anche grazie ad alcune indicazioni reperibili nella bibliografia recente[12], i materiali forcelliniani sono emersi alla Biblioteca Laurenziana di Firenze, appunto tra i codici Ashburnham.

Lì, del cosiddetto Diario zeniano si conservano due testimoni: il Laurenziano Ashburnhamiano 1502 (cc. 187r-308v) e il 1492 (cc. 112r-252v). A far testo è però il primo, che è di pugno del Forcellini; il 1492, invece, è una copia eseguita dal Tomitano nel 1810[13]. Altre puntualizzazioni utili, qui in limine. Il titolo di quello che ho sinora chiamato (e continuerò a chiamare per comodità) Diario zeniano suona più precisamente, nel manoscritto laurenziano, Notizie circa il sig. Apostolo Zeno tratte dalla viva voce di lui[14]. Stando alle date che lo stesso Forcellini registra nel manoscritto, i colloqui tra il Forcellini e lo Zeno iniziano nel dicembre 1743; poi riprendono nel giugno del 1745, facendosi pressoché quotidiani; l’ultima data, nel manoscritto, è il 3 settembre 1750, e precede di due mesi la morte dello Zeno (11 novembre). Il 4 giugno 1745, riprendendo il diario dopo l’interruzione di cui s’è detto (fine 1743 - estate 1745), il Forcellini scrive con rammarico: «Noto con mio dolore d’aver tralasciato di registrare per un anno e mezzo tante cose […] per la moltitudine de’ miei imbaracci» (DZ, c. 2v)[15].

III. Ma veniamo senz’altro al testo. E vediamo direttamente, attraverso alcune campionature, se e quanto il nostro Diario zeniano possa dire ancora qualcosa allo studioso dello Zeno o più in generale al settecentista, anche dopo la bibliografia che si è accumulata in seguito, dal Negri a oggi. E iniziamo proprio dal «Giornale de’ letterati». La bibliografia specifica si è più volte servita delle pagine in cui il Negri ricostruisce la fondazione del «Giornale»: l’incontro padovano del maggio 1709 fra Zeno, Maffei e Vallisneri; l’idea di dar vita a un giornale che fosse l’equivalente italiano degli «Acta eruditorum» di Lipsia o dei «Mémoires de Trévoux», per rompere la congiura del silenzio degli «oltramontani» circa «libri ed autori italiani»[16]; i patti reciproci fra i tre, anche finanziari, con l’impegno di 100 ducati a testa; l’assunzione a «protettore» del granduca di Toscana; l’incarico conferito dallo Zeno al Maffei di stendere dedica e introduzione; il riconoscimento allo Zeno della parte preminente di redattore del «Giornale» e il conseguente ritiro delle somme impegnate da parte di Maffei e Vallisneri, lasciando l’utile al solo Zeno; il plauso pressoché unanime dei letterati all’uscita del primo tomo; e via dicendo[17]. Su questi punti, come su moltissimi altri, il Negri si fonda a sua volta sul Diario zeniano (senza peraltro dichiararlo, ad locum; avendolo, è vero, dichiarato una volta per tutte nella sua Introduzione, come s’è visto).

Se compariamo il passo del Diazio zeniano con quello corrispondente della biografia del Negri, balza subito all’occhio la differente estensione tra i due testi, più sintetico il Diario zeniano, più diffuso il Negri[18]:

Poiché il tempo era corso, liberamente e tosto il domandai del suo Giornale. Mi disse: «L’istoria del mio Giornale è questa. Io mi trovava un giorno col Valisnieri e ’l Maffei discorrendo degli Atti di Lipsia; e dissi loro: “Gran disordine e vergogna degl’Italiani è che gli Oltramontani non facciano menzione de’ nostri libri ed autori, o solamente nominino libri ed autori che fanno disonore all’Italia: quasi che più non ci sia ora chi studii, e che vaglia un poco. Bisognerebbe che gl’Italiani si facessero essi il lor giornale, e si vendicassero”. Piacque la proposta, e gli altri due per loro occupazioni scusandosi, esortarono me, che non era occupato, a intraprendere ed eseguire. M’esibii di farlo, ma dissi loro che le mie forze non potevano supplire alla spesa. Il Maffei mi diede cento ducati, il Valisnieri altri cento, ed io altri cento n’esposi; e con trecento ducati cominciai a stampare. Gli estratti si facevano così: io tutte quelle [sic] di libri di lettere, di erudizione e di storia; il Valisnieri di medicina; il Morgagni di notomia; il Poleni e ’l Zendrini di matematiche (un altro m’ha nominato che non mel / ricordo più)[19]. Il Maffei ha fatte alcune cosette, ma assai poche; e ho piacere che l’abbia stampate anche separate, accioché il mondo non creda che egli ci abbia avuto la mano principale. Le relazioni degli altri tutte dovevano passare per le mie mani, ed io aggiustarmele a mio modo perché i stili fossero uniformi, ed uniforme tutta la fabrica. Di tre in tre mesi io dava fuori un tometto: n’ho dati 28. Dopo poco tempo dal principio, prendendo la cosa buona piega, e vedendo i due amici che io n’aveva il maggior peso della fatica, si contentarono che io restituissi loro i 200 ducati, ed a me lasciarono tutta l’utilità. E ci ho fatto del bene: io aveva da 800 associati. Ho cominciato del 10 e ho tralasciato del 18, andando a Vienna. Allora ha voluto seguitarlo mio fratello (Catterino C. R. S.)[20], e n’ha fatti 12 tometti; ma dandone fuori uno solo all’anno, ha rovinato il Giornale, quanto all’esito».

[DZ, c. 10r-v]

Caduto per tanto un giorno il discorso fra questi tre sugli Atti di Lipsia e sulle Memorie Trevolziane, dieronsi a deplorare la fatalità che gli oltramontani non facessero mai memoria de’ libri ed autori italiani, o nominassero solamente libri ed autori che facean più disonore che altro all’Italia, quasi che non fossevi allora alcuno tra’ nostri che tanto o quanto valesse in fatto di lettere. Bisognerebbe, prese a dire Apostolo, che gl’Italiani si facessero essi il loro Giornale e se ne vendicassero, palesando che il buon senso, la dottrina e l’ingegno non vennero mai meno tra noi, e che ora più che mai rifioriscono e s’avvivano. Piacque agli altri due la proposta, e s’accordaron tutti che un Giornale era necessario, giacché in quanto alla Galleria di Minerva, che pur continuava, poco caso si dovea farne, essendo un guazzabuglio di cento cose diverse, che non avea stabile assunto, né con regolato metodo usciva; ed altra opera periodica di qualche pregio, fuorché questa, non v’era. Riscaldatisi adunque li tre amici nell’idea, si posero a concertarne la forma, e l’un de’ primi articoli fu non doversi in esso far parola d’altro che di libri d’autore italiano, od al più potersi dar nelle Novelle un passaggero cenno delle opere di penne straniere. Ma la direzione e l’esecuzione del bel pensiero doveva restare ad un solo appoggiata. E perciocché il Zeno era allora meno occupato degli altri, e forse più degli altri aveva commercio di lettere ed amicizia cogli eruditi di quasi tutte le città d’Italia, venne lui esortato dal Vallisnieri e dal Maffei a pigliar sopra di sé il grave peso. Non se ne sottrasse il valentuomo; se non che le sole sue forze non potean reggere alla grossa spesa, e ciò conobbero assai bene i suoi colleghi; quindi si esibirono di contribuirgli cento ducati per ciascheduno con patto che altrettanti anch’egli per la sua parte ne ponesse, e che tripartito dovesse esserne l’utile. Con trecento ducati adunque il Zeno si accinse all’impresa, e suo primo passo fu il formare una lega de’ più bravi tra’ suoi amici che lo dovessero aiutare nel compilar gli estratti de’ libri. Secondo i varii studii d’ognuno adattò loro le varie classi della materie su cui dovevan versare. Per sé e per lo suo fratello p. Pier Caterino ritenne tutt’i libri di belle lettere, di erudizione, di storia; al march. Maffei assegnò singolarmente le cose legali;[21] al Vallisnieri quelle di medicina; al Morgagni quelle di anatomia; al march. Poleni e al Zendrini i libri di matematica, al Fontanini quelli di sacra erudizione e di diplomatica. Indi divulgò, il più che poté, la notizia del nuovo assunto […]. Cercò altresì di disporre favorevolmente all’accettazione del nuovo Giornale que’ soggetti principeschi d’Italia co’ quali qualche relazione aveva […]. E fu appunto il Granduca di Toscana quello che i giornalisti per suo consiglio scelsero a protettore della lor opera. Dovendo a que’ giorni recarsi a Firenze per fermarvisi qualche tempo il Maffei, a lui venne affidata la cura di estenderne la dedicazione e di presentarla a quel Sovrano, ed a lui pure aveva il Zeno dato l’incarico di scrivere l’introduzione al Giornale, in cui la storia si epilogasse di tutti li giornali precedenti e il disegno e l’indole si facesse nota di quello che stava per uscire. […] Passato alcun tempo, e veggendo sì egli [scil. il Maffei] come il Vallisnieri che tutto il carico della fatica riposava sulle spalle di Apostolo, non vollero parere ingiusti dividendone con lui l’utile, e solo si contentarono di riavere ciascuno li suoi cento ducati, lasciando ch’egli si approfittasse del restante.

[Negri, pp. 123-127]

Mi limito ad alcuni rilievi. Primo. Il Negri, e lui solo, nomina la «Galleria di Minerva», il giornale albrizziano, adducendolo come termine di paragone sostanzialmente negativo: «un Giornale era necessario, giacché in quanto alla Galleria di Minerva, che pur continuava, poco caso si dovea farne» ecc. Non mette conto, qui, verificare il giudizio su quel giornale[22]. Osservo solo che nel Diario zeniano la «Galleria» non è per nulla nominata. Anche altrove il Negri si pone il problema, a quanto pare più suo che dello Zeno e dei fondatori del «Giornale de’ letterati», di far quadrare i conti tra lo Zeno del «Giornale de’ letterati» e lo Zeno collaboratore della screditata «Galleria di Minerva»[23].

Secondo rilievo: da «Bisognerebbe che gl’Italiani si facessero» fino a «vendicassero», il Negri cita pari pari dal Diario zeniano (e lo segnala il corsivo, che è del Negri); ma poi aggiunge quelle parole, «palesando che il buon senso, la dottrina» ecc., che sono una sorta di didascalia esplicativa, con quella fiera rivendicazione dell’onore nazionale conculcato che è così tipica degli intellettuali italiani dell’epoca. Nulla, beninteso, di particolarmente nefando, nell’aggiunta del Negri. Sono parole, credo, che lo stesso Zeno avrebbe ben potuto sottoscrivere. D’altronde anche i discorsi diretti che Forcellini mette in bocca allo Zeno nel Diario zeniano sono trascrizioni fatte a memoria, in un secondo tempo, anche se magari il giorno stesso in cui il Forcellini era stato in visita in casa dello Zeno. Anche per il Negri restiamo al di qua, per intenderci, del procedimento degli storici classici, che mettono in bocca ai loro eroi concioni e discorsi ficti con funzioni di drammatizzazione del racconto. Non di questo si tratta, ma, direi, di una sorta di minima farcitura (critica, più che retorica) della fonte. Nel caso specifico, poi, vien quasi fatto di pensare che sia proprio la prospettiva dell’onore nazionale, quella che è nell’aggiunta fatta dal Negri, ad aver suggerito allo stesso Negri anche un’altra aggiunta, quella iniziale relativa alle «Memorie Trevolziane»: nei gesuitici «Mémoires de Trévoux» era uscita la controffensiva francese contro l’Orsi e le sue Considerazioni alla Manière del Bouhours, come pure le repliche al Fontanini nella polemica di questi contro un altro gesuita francese, il Germon[24].

Terzo e ultimo rilievo: il passo del Diario zeniano sul Maffei che ridimensiona la parte avuta dal marchese nel «Giornale», «Il Maffei ha fatte alcune cosette» ecc. Il brano corrispondente del Negri è di tutt’altro tenore, «Dovendo a quei giorni recarsi a Firenze» ecc., e dice del Maffei autore della dedica e dell’introduzione al «Giornale» (su incarico dello Zeno). È, questa di filtrare la fonte amplificando e censurando, una tendenza che a volte si nota nel Negri. E si confronti, in questo stesso esempio, la parte finale dei due testi: manca al Negri la critica che è nel Diario zeniano verso il fratello Pier Caterino, reo di aver «rovinato il Giornale, quanto all’esito», per non averne mantenuto la periodicità trimestrale.

IV. A volte il Diario zeniano ci permette qualche sostanziosa conferma relativa al «Giornale» e alla sua storia. È il Diario a consentire ad esempio l’attribuzione di testi cruciali nella vita del periodico. Siamo nel 1711-12, e il neonato «Giornale» viene accusato di antigesuitismo pregiudiziale da tre Lettere a un cavaliere erudito sopra il secondo e il terzo tometto del nuovo Giornale de’ letterati d’Italia, anonime ma del gesuita padovano Giovanni Antonio Bernardi. La posta in gioco era alta, mettendo in serio pericolo il «Giornale» e la sua stessa esistenza. Il gesuita ne criticava alla radice l’impostazione culturale: in particolare il sostegno dell’Orsi nella polemica contro il gesuita Bouhours e i Trevolziani, e l’opzione a favore degli apologeti italiani del Mabillon (il Mabillon del De re diplomatica) contro il gesuita Germon. In difesa del «Giornale», contro il Bernardi, escono due anonime Risposte del cavaliere erudito, attribuite a lungo (e a torto) al Maffei. Un passo del nostro Diario zeniano ci permette invece di attribuirle al Fontanini e alla sua cerchia:

Oh sentite, ho avuto sempre petto di ferro, costante. Una volta un tal p. Bernardi gesuita diede fuora contra di me tre lettere infami. Io non gli risposi parola. È ben vero che il Fontanini e i suoi seguaci di Roma risposero e ’l lacerarono, ma io non n’ebbi la minima parte (DZ, c. 17r).

Ma di ciò ha parlato Paolo Ulvioni nel suo ultimo volume su Maffei, e dunque non mi ci soffermo[25]. Anche perché credo che la fruibilità del nostro Diario zeniano non consista nel solo contributo documentario.

V. Veniamo allora a un altro campione testuale. A un certo punto, su istanza del Forcellini, lo Zeno traccia un quadro della vita accademica nella Venezia fra gli ultimi del Seicento e i primi del Settecento, ricordando con una certa dovizia di particolari le accademie degli Animosi, degli Uniti, dei Dodonei: notizie tutte confluite nel Negri, e che integrerebbero utilmente il Maylender. In particolare parla degli Animosi (siamo grosso modo intorno al 1698), di cui lo stesso Zeno fu il fondatore, ma anche, circa tredici anni dopo, il liquidatore. In una solenne adunanza fatta in tempo di carnevale in casa Grimani, probabilmente nel 1711, alla presenza di dame e cavalieri e persino del duca di Mirandola, una maschera villana fa delle insolenti avances a una bellissima dama torinese: e ne nasce un parapiglia. A seguito del fatto lo Zeno convoca i consoci ‘animosi’ e, per prevenire un’eventuale ingiunzione di scioglimento da parte del governo, li induce a sciogliere l’accademia. La versione del Diario zeniano si segnala per la vivacità quasi da commedia che la connota (si veda solo, a fronte del «facendole non so quali atti villani» che si legge nel pudibondo Negri, il dettaglio degli atti insolenti della maschera, o anche l’anagrafe più precisa dei personaggi):


L’interrogai quanto durasse e perché si sciogliesse l’academia [degli Animosi]. «Sentite, disse. Durò circa 10 o 12 anni; e si sciolse in questo modo. Si faceva in ca Grimani una solennissima radunanza dell’anno …..[1711]. V’intervenne il Duca della Mirandola con altri tre o quattro principi, e moltissime dame e cavalieri veneziani e stranieri: ed era di carnevale. Le dame sedevano sopra sedie con braccia in cerchio; i cavalieri davanti ad esse sopra il tappeto bassi, per non tor loro la vista. Una maschera si mise a sedere sopra un braccio della sedia in cui era una bellissima dama turinese; che il tollerò. La maschera con insolenza s’andava abbassando guardandole il seno; e la dama si contorceva e nauseava, e si volgeva altrove; e la maschera piegarsi quasi a baciarla. Di che accortasi la Grimani, padrona di casa, che serviva la dama e l’era presso: “Maschera”, disse, “abbiate creanza”. “Quel che fo posso farlo”, rispose. Allora la Grimani alzando la voce: “Ma questa è una insolenza”; e si lagnava. Udì il fratello Lazzaro Foscarini, che le sedeva davanti, e levossi per rimediarvi. La maschera tirò di pistola, che non prese fuoco; e se prendeva, ammazzava la celebre Bianca Mocenigo, che era in faccia. Il Foscarini, impugnato lo stilo, con l’altra mano stracciò la bauta alla maschera, e nell’atto del voler ferire s’accorse che era un nipote della Grimani. Furono tratte fuori spade e stili in copia; la maschera, che era Vicenzo Michiel de Zuane cavalier e Andriana sorella di Z. Carlo Grimani marito della Foscarini, per una scala secreta fu mandata negli appartamenti de’ Micheli, che abitavano sopra i Grimani: e ogni cosa d’acquietò. L’academia s’interruppe. Il Michel fu capitalmente bandito; poi rimesso, fu fatto primicerio, e poi disfatto; e ora vive privato. Ora», disse Apostolo, «io radunati / privatamente gli academici, che erano 13 in 14, dissi loro: “Presto ci viene qualche ordine de’ Capi di non radunarci più: è meglio che ci sciogliamo da noi medesimi”. E così fu fatto; né più volli saper d’academie. Sentite, le academie in questo paese non riusciranno mai, perché sono i principi protettori che le fanno durare. Guardate la Fiorentina e quella della Crusca; che sussistono perché i Gran duchi le han sostenute, e anche il presente le protegge»

[DZ, c. 9r-v]

(XVII.) Gli Animosi, siccome avviene di tutte le istituzioni a cui manca l’appoggio de’ principi, dopo alquanti anni perdettero molto della primiera energia. Non pertanto si reggevano ancora con bastevol fortuna, quando avvenne un caso che diede l’ultimo crollo all’edificio. Tenevasi in Carnovale un’adunanza più clamorosa del solito per la presenza del Duca della Mirandola e d’altri tre o quattro principi. Le dame stavano a cerchio sopra alle sedie, ed i cavalieri davanti ad esse sopra scanni più bassi. Quando un uomo in maschera si pose a sedere sopra un braccio della sedia in cui era una bellissima dama torinese, facendole non so quali atti villani. Sopportollo, benché con nausea, la dama, ma nol sofferse la moglie del Grimani, nella di cui casa correva la festa, ed altamente sgridò la maschera, che più altamente rispose. V’accorse allora Lazaro Foscarini fratello della Grimani in aria un po’ burbanzosa, e appena fu là, che la maschera gli sparò contro una pistola, che per fortuna non pigliò fuoco. Tanto bastò perché la sala tutta andasse a romore. Si brandirono spade, si sguainaron pugnali, gli accademici spaurati si ritirarono, e l’adunanza rimase interrotta. Benché la maschera, cagione di tanto scompiglio, ch’era un cotal Vincenzio Micheli, venisse con capital bando punita, pure il Zeno, conoscendo la scrupolosità del Governo, s’immaginò che soprastesse agli Animosi l’ordine di non ragunarsi più. Quindi in privata sessione significò agli accademici i suoi dubbi e consigliolli a prevenire il colpo, sciogliendosi spontaneamente, il che fu preso.

[Negri, pp. 446-447, nota xvii]

Ma più importa al nostro discorso, qui, che nel Diario zeniano, sciolti gli Animosi, lo Zeno fa una bella riflessione di interesse, diciamo, politico-culturale, sulla necessità del mecenatismo dei prìncipi: «le academie in questo paese non riusciranno mai, perché sono i principi protettori che le fanno durare. Guardate la Fiorentina e quella della Crusca» ecc. È una riflessione non priva di importanza, che allinea lo Zeno al Muratori, il quale del mecenatismo principesco fa un punto qualificante di tutto il suo programma di riforma della cultura nazionale, dai Primi disegni fino alla Pubblica felicità. Il Negri, invece, toglie quella riflessione di bocca allo Zeno e se ne appropria («siccome avviene di tutte le istituzioni a cui manca l’appoggio de’ principi»); e così facendo falsa la prospettiva e i piani del discorso. Non solo: nell’espropriare lo Zeno della sua riflessione, la decontestualizza, ne fa un universale senza luogo e senza tempo. Soprattutto oblitera il riferimento alla Repubblica veneta («in questo paese»). Insomma, altera e falsifica. Magari innocentemente, ma falsifica.

I casi come quelli che abbiamo visto sono molti. Per limiti di spazio tralascio di addurne altri. Dal punto di vista documentario, il Diario zeniano si rivelerebbe ad esempio un mare pescosissimo per il medaglista e per lo storico della numismatica in particolare: molto spesso lo Zeno rievoca expertises di medaglie di cui fu richiesto e vicende di acquisti e commercio di monete e collezioni numismatiche. Notevole anche il bottino in merito all’attività dello Zeno autore teatrale. E altrettanto ricca la messe di giudizi su letterati maggiori e minori dell’epoca e sulle loro opere (memorabili quelli sul docente padovano Lazzarini, sul suo allievo Bartoli, e soprattutto sul Fontanini: occasionati, questi ultimi giudizi, dal lavoro alle Annotazioni alla Biblioteca dell’eloquenza italiana, cui lo Zeno attende ancora in articulo mortis, un’opera che uscirà postuma non a caso per cura del Forcellini[26]).

VI. Fatti, giudizi, indiscrezioni, aneddoti: un insieme vario, vasto e composito. Non direi però farraginoso. Proviamoci allora a mettere alla prova la ‘tenuta’ del Diario anche in relazione ad aspetti più marginali e di dettaglio, per verificarne l’eventuale rilievo autonomo, anche indipendentemente dal raffronto col Negri. Scelgo di proposito dei casi-limite. Va premesso che spesso è già il Forcellini a selezionare i discorsi dello Zeno, omettendo quelli ritenuti non interessanti, cioè non utili per la progettata biografia: «Di nulla si parlò che faccia al proposito» (DZ, c. 24r); «E ’l poco tempo che restò si consumò in discorsi che non sono al proposito» (c. 14v). Una volta, invece, trascrive un ricordo dello Zeno, e poi, evidentemente rileggendolo in seguito, appone accanto a quelle parole una scritta: «Non fanno a proposito» (c. 24r):

Sopravenne il fratello Corner[27], e ’l discorso si cangiò da sé. Si parlò del vestir di 60 anni fa o poco dopo: intesi che le parrucche ne’ patrizii non contano 60 anni; aversi veduti capelli non ha 20 anni; avere il Corner veduti nobili in piazza con le pantofole da pescatore; ma non aver vedute scarpe di color di cannella, che pur si usavano; un Erizzo essere stato solito portar sempre la stola calata[28]; un altro aver lasciato una cominatoria perché gli eredi non portassero parrucca e scarpe bianche o nere; ed averne gli Erizzi, quando posero parrucca, pagata la pena all’ospital della Pietà (DZ, c. 24r).

Aneddotico, certo. Ma mi chiedo se un caso-limite come questo, di cui naturalmente non è traccia, se ho ben visto, nel Negri, non abbia poi una sua funzionalità nell’economia di un testo come il Diario zeniano. C’è, ad esempio, sottotraccia, il tema del confronto fra generazioni, che colora il rapporto fra il vecchio Zeno e il giovane Forcellini: un rapporto, questo di maestro-allievo, che è fondante, per il nostro testo. Tralascio, perché è altro discorso, la fruibilità anche documentaria del brano per lo storico dei costumi (ma anche del lessico: si veda, nel brano, la «stola calata»).

Il Diario zeniano, mi pare, comincia a profilarsi nella sua autonoma fisionomia, non solo come serbatoio del Negri.

Ma anche quando il contenuto del Diario transita quasi senza residui nella biografia del Negri, questo transito non è senza conseguenze: neppure per il contenuto stesso. In altri termini: se non come documento, è come monumento (come monumento ‘letterario’ in senso lato) che il Diario zeniano mantiene un suo valore anche testimoniale, in quanto ‘scrittura dell’io’. Da questo punto di vista l’aneddotismo fa intravedere all’orizzonte i «fattarelli» dell’Alfieri, le «bagattelle» di Da Ponte, gli «accidentuzzi» di Carlo Gozzi. E si ricordi anche che lo Zeno non è fra i letterati dell’epoca (Martello, Muratori, Vallisneri, Vico, Doria) che scrissero la loro vita su invito del Porcìa. Abbiamo, però, il Diario zeniano.

VII. Letterario, il Diario zeniano, è già in origine: parlando di sé, Zeno stesso sa di consegnare al Forcellini un’immagine di sé: scrive insomma, e sa di scrivere, la propria autobiografia, sia pure per mano d’altri; detta una propria autobiografia autorizzata; si costruisce come personaggio, e sovrimprime questa sua autoproiezione già a monte, nelle parole dette al Forcellini, prima ancora che quest’ultimo le registri nel Diario: autoproiezione identitaria e insieme testamentaria (perché consapevole), e perciò letteraria.

Un solo esempio. A un certo punto, Zeno parla della sua formazione quasi da autodidatta e dei suoi primi, inetti maestri: «Sentite, questa [cioè l’essersi egli formato da sé] è una verità, e non è piccola impresa, e se alcuno scriverà la mia vita, è punto notabilissimo». «Se alcuno scriverà la mia vita»! E il Forcellini, di rimando, mostrando di aver bene inteso: «Io andava confermando il suo detto, e aggiunsi, è punto certo de’ più notabili della sua vita: e mi pare che mostrasse anche qui di capire la mia intenzione» (DZ, c. 9r), cioè l’intenzione di farsi biografo dello Zeno. Ovvero Apostolo è ben cosciente che quel suo parlare di sé, il suo racconto autobiografico, è rivolto a persona che potrà divulgarlo; anzi, che intende divulgarlo. I ricordi di Zeno non possono non esserne condizionati ab origine, non possono non riuscire coscientemente autobiografici.

Ma c’è altro. Il Forcellini pilota il discorso di Apostolo, inducendolo a parlare di punti o aspetti particolari della sua esistenza: quelli su cui vuole raccogliere informazioni. «Feci cader il discorso sopra la poesia dramatica, come e quando da lui esercitata ecc.» (DZ, c. 4r): e ne esce un bel passo in cui lo Zeno delinea sinteticamente i propri meriti di riformatore del dramma musicale. E altrove: «Il misi tosto a ragionare delle sue opere, quante e quali»: ed ecco lo Zeno ricordare la sua continuazione del Mappamondo istorico del Foresti o quel poemetto pieno delle «maggiori freddure del mondo» che scrisse ancor giovane, prima di convertirsi al buon gusto, sull’Incendio veneto, e ancora il suo Compendio del Vocabolario della Crusca (DZ, c. 15r): con evidente infrazione dell’ordine cronologico (il Mappamondo è del 1705-6, l’Incendio veneto del 1685, il Compendio del 1705), ma secondo un ordine interno al discorso e condizionato dall’intervistatore.

Infine c’è il procedimento, letterario anch’esso, della mimesi dell’oralità, tutti quegli «oh sentite» che il Forcellini mette in bocca allo Zeno quando questi comincia a raccontare fatti, episodi o aneddoti: quasi a garanzia di registrazione veridica e puntuale, come da verbale, delle precise parole del maestro. Sono formule che il Forcellini avrebbe potuto benissimo evitare, se avesse concepito il suo testo soltanto a suo uso privato, come mera selva di appunti a cui attingere in seguito, per la vita dello Zeno che poi non fece. Quei «sentite» messi in bocca allo Zeno sono una registrazione dell’oralità memorante dell’intervistato; ma questa registrazione è già un’elaborazione e una scelta stilistica. Quelle espressioni, insomma, sono già letteratura.

VIII. Il livello della biografia, su cui si pone il Negri, importa un ulteriore allineamento del materiale: egli ordina cronologicamente i dati raccolti, li allinea lungo il decorso della vita del biografato, dalla nascita alla morte, come esige il genere letterario della biografia. Nel Diario zeniano del Forcellini, invece, i dati si aggregano quasi da sé intorno ad alcuni poli d’interesse, quelli che via via emergono dalle parole dell’intervistato, nello svolgersi del suo discorso memoriale (discorso libero, ma, ripeto, indotto e volontario). E difatti, nel manoscritto, sulla colonna di destra, lasciata bianca per eventuali note o correzioni, ecco che di tanto in tanto il Forcellini  pone alcune indicazioni segnaletiche del contenuto, una sorta di rubricazione apposta a lato e a posteriori, che viene a costituire una mappatura dei contenuti, un sommario orientativo: ed ecco voci come Costumi, Vienna, Imperatore, Medaglie, Libreria, Amici, Abitazione, Detti notabili, Fontanini, Studii, Cariche, Affetto a casa d’Austria e simili. Ne esce un ritratto ‘aneddoto’ del personaggio, visto attraverso il fluire dei suoi ricordi, organizzato per quadri giustapposti, per aggregazioni tematiche. Una sorta di autobiografia in forma antologica: «E da una cosa passando in l’altra; sentite, disse» (DZ, c. 18v). E altrove: «Sentite quest’altra» (c. 21v).

La giustapposizione ha però una sua logica narrativa: i ricordi dello Zeno si agganciano alle occasioni degli incontri, delle visite quotidiane che il Forcellini fa al vecchio letterato; si legano alle altalenanti condizioni di salute in cui questi si trova al momento della visita del Forcellini: prima dell’intervista vera e propria, a mo’ di cappello introduttivo, subito dopo la data, il Forcellini premette sempre una sorta di bollettino medico, il cui referto giustifica la lunghezza o i temi dell’intervista stessa, facendola più o meno lunga, più o meno impegnativa. Anche le visite, poi, hanno una loro durata, che condiziona l’economia e la durata stesso del racconto: è il Forcellini stesso a dirci che, allo scoccare del mezzodì, la sua visita si interrompeva invariabilmente, perché quella era l’ora in cui lo Zeno pranzava.

L’allineamento cronologico della biografia è ovviamente tutt’altra cosa. La voce dello Zeno, nella biografia del Negri, è filtrata da quella del biografo, il quale racconta e giudica, organizza e dispone, seleziona e ordina; e la biografia del Negri assolve egregiamente, bisogna dirlo, tutte le sue consegne di fondo, informative o encomiastiche che siano. Il Diario zeniano, lo abbiamo visto, presenta sì un’organizzazione, ma assai più debole, meno rigida e meno marcata, che conferisce al testo un’impressione di libertà e fluidità, vivacità e freschezza. È, insomma, un’altra cosa. Il che basterebbe, credo, a renderlo degno di considerazione.


[1] Cfr. A. Zeno, Lettere…, [a cura di M. Forcellini], Venezia, Valvasense, 1752, 3 voll. Sul Forcellini (1712-1794), è intervenuto a più riprese Giorgio Ronconi: si veda la bibliografia indicata in G. Ronconi, Aspetti della lettera familiare nel Settecento. La corrispondenza tra Egidio e Marco Forcellini e la prima edizione dell’epistolario zeniano, in Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, a cura di A. Chemello, Milano, Guerini Studio, 1998, pp. 229-243.

[2] Nel 1750.

[3] Alla fine del 1794.

[4] F. Negri, Vita di Apostolo Zeno, Venezia, Alvisopoli, 1816 (d’ora innanzi Negri), pp. 10-11, lungo l’Introduzione (pp. 7-15). E cfr. anche a p. 387.

[5] La profferta del Tomitano, «gentiluomo opitergino di squisita letteratura ed avido indagatore d’ogni merce erudita» (Negri, p. 12), sarà forse da datare verso il 1804-1805: nella dedicatoria della Vita al Morelli, il Negri esordisce dicendo di presentargli ora (1816) «in istampa» un lavoro che dieci anni prima, e dunque nel 1806 circa, gli aveva mostrato «manuscritto» (Negri, p. [3], lungo la dedica Al dottissimo uomo d. Iacopo Morelli… l’autore, pp. [3]-[6]). Non mi è riuscito di reperire la lettera del Tomitano al Negri: è purtroppo di anni posteriore (11.VI.1821) quella pubblicata dal Fapanni in un nuptiale veneziano del 1846, per la quale cfr. C. Viola, Epistolari italiani del Settecento. Repertorio bibliografico, Verona, Fiorini, 2004, n° 1885.4, p. 572. Sul Tomitano (1761-1828), cfr. la bibliografia indicata in S. Baldelli Cherubini, Giulio Bernardino Tomitano. Dal carteggio con Giambattista Bodoni, «Bollettino del Museo Bodoniano di Parma», 7, 1993, pp. 3-16.

[6] Negri, p. 13 (anche per le citazioni precedenti).

[7] Negri, p. 14.

[8] Negri, pp. 13-14.

[9] Negri, p. 14.

[10] Cfr. L’Archivio di Guglielmo Libri dalla sua dispersione ai Fondi della Biblioteca Moreniana, a cura di A. Del Centina e A. Fiocca, Firenze, Olschki, 2004.

[11] Cfr. L. Delisle, Notice sur des manuscrits du Fonds Libri conservés à la Laurentienne, à Florence, Paris, Imprimerie nationale, 1886, pp. 12-13.

[12] In particolare G. Ronconi, Il “ricovrato” Marco Forcellini, familiare di Apostolo Zeno, «Atti e Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze Lettere ed Arti già Accademia dei Ricovrati», CCCXCI (1994-1995), CVII, pt. III, pp. 39-68: 41-49. Cfr. anche P. Ulvioni, «Riformar il mondo». Il pensiero civile di Scipione Maffei. Con una nuova edizione del Consiglio politico, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008, pp. 107n e passim (cfr. ad Ind., s. v. Forcellini). La voce dedicata a Marco Forcellini nel DBI (XLVIII, 1997, di G. Fagioli Vercellone, pp. 790-792) ricorda l’inedito Diario zeniano (p. 791), senza però darne gli estremi bibliografici. Solo in fase di correzione delle bozze Michela Fantato, che ringrazio, mi segnala che il Diario zeniano è considerato e utilizzato, con l’epistolario inedito, come una delle «nuove fonti per una rilettura del teatro musicale di Zeno» nella tesi di dottorato (in Storia e critica dei beni artistici e musicali, Ciclo XX) di M. Bizzarini, Griselda e Atalia: exempla femminili di vizi e virtù nel teatro musicale di Apostolo Zeno, presentata presso l’Università di Padova il 31 gennaio 2008 (cfr. in particolare pp. 152-159).

[13] Questo codice, nelle carte che precedono, reca altresì la Vita di Apostolo Zeno del Negri trascritta dal ms. originale. Una copia di poco ridotta del Diario appartenuta al Negri è anche, sotto il titolo di Diario forcelliniano, alla Biblioteca del Museo Correr di Venezia, cod. Cicogna, 3430/15. Pure l’Ashburnham 1500 ha un certo interesse, contenendo lettere di Forcellini e di altri a Francesco Melchiori. Ringrazio Anna Rita Fantoni, responsabile del settore Esposizioni e Iniziative Culturali della Laurenziana (= BMLFi), per le informazioni ricevute.

[14] BMLFi, Ashb. 1502, c. 1r (187r del codice); d’ora innanzi indicherò direttamente a testo, entro tonde, la/e carta/e dei passi citati dal Diario zeniano (= DZ) secondo la sola numerazione propria, omettendo quella del codice.

[15] Il passo è anche in Ronconi, Il “ricovrato” Marco Forcellini…, p. 42.

[16] Negri, p. 123.

[17] Cfr. ibi, pp. 123-128.

[18] Il sottolineato indica le parti comuni ai due testi, e dunque il prelievo, nel Negri, dal DZ; il grassetto segnala invece ciò che è esclusivo di ciascun testo, trovandosi solo nel Negri o solo nel DZ.

[19] La parentesi è evidentemente del Forcellini.

[20] Anche qui la parentesi è del Forcellini.

[21] Lett. 279 [nota del Negri, con riferimento alla lettera di quel numero nell’ed. Morelli, Venezia 1785].

[22] Cfr., in questi stessi Atti, la relazione di Fabiana Di Brazzà.

[23] Cfr. Negri, pp. 82-85, 152, 451-452.

[24] Mi sia consentito rinviare a C. Viola, Tradizioni letterarie a confronto. Italia e Francia nella polemica Orsi-Bouhours, Verona, Fiorini, 2001, pp. 291-296 e passim.

[25] Cfr. Ulvioni, «Riformar il mondo»…, pp. 114-130.

[26] Venezia, Pasquali, 1753.

[27] Andrea Corner, fratello uterino di Apostolo Zeno.

[28] Cioè poggiata sul braccio, anziché sulla spalla.

Servizi

Cerca

Login



Utenti on line

 17 visitatori online