L’edizione commentata delle Epistole e dei Sermoni di Ippolito Pindemonte

Ippolito Pindemonte,

‘Epistole’ e ‘Sermoni’, a cura di S. Puggioni, Padova, Il Poligrafo, 2010, 550 pp.

L’edizione commentata delle Epistole e dei Sermoni di Ippolito Pindemonte risponde all’esigenza ormai avvertita da tempo di un riesame critico dell’opera omnia dell’autore veronese, con particolare riguardo all’intimo rapporto che intercorre fra scrittura e contesto storico-letterario. In questo senso l’esperienza epistolografica di Pindemonte, meno esplorata dalla tradizione degli studi, che ha negli anni privilegiato la poesia campestre e la nota versione omerica, assume un ruolo di non poco significato nell’analisi dei meccanismi evolutivi del genere letterario.

Il volume, accanto alla tarda silloge dei sermoni, testi che in qualche modo costituiscono una variante dell’epistola medesima, raccoglie l’intera produzione pindemontiana in verso sciolto, spalmata in un arco cronologico che in linea di massima corre dal 1784 al 1809. Le prime otto epistole, anche se composte tra il 1778 e il 1780, compaiono a stampa nel 1784 in un pregevole volumetto intitolato, con ispirazione arcadica, Versi di Polidete Melpomenio (Bassano, A spese Remondini di Venezia). I componimenti, indirizzati all’attenzione di illustri destinatari, tra i quali val la pena menzionare la celebre Lesbia Cidonia, la pittrice Angelica Kauffmann e il letterato Angelo Mazza, pur nel loro evidente carattere dettato dall’occasione, rispecchiano un poetare inscritto nei perimetri dell’ideologia illuministica e diventano materiale prezioso per una più completa comprensione dei molteplici orizzonti culturali dell’autore. Le prove giovanili – significativamente legate alla proposta del noto triumvirato settecentesco, Frugoni, Algarotti e Bettinelli, confluita poi nei Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori del 1758, effettiva pietra miliare nel percorso dell’epistola in endecasillabo non rimato – pur nell’evidenza di una provvisorietà stilistica, che orienterà l’autore verso il ripudio, e di una sperimentazione a più livelli, fungono da premessa imprescindibile alla silloge del 1805, apparsa a Verona per Gambaretti con il titolo di Epistole in versi. Queste ultime, frutto di una maturità facilmente riscontrabile sul piano linguistico e sulla scelta dei concetti poetabili, si pongono, soprattutto in considerazione delle costanti ripercussioni di un contesto storico in tormentato divenire, al cuore del pensiero pindemontiano: ne deriva un dialogo costante con una pluralità di interlocutori e in parallelo un esercizio di equilibrio tra antico e moderno che lascia diffusamente trapelare l’inquieta tensione fra continuità e discontinuità propria delle transizioni epocali. L’epistola in tal prospettiva diventa, oltre che spazio di denuncia politica, racconto autobiografico e talvolta spazio privilegiato di rifugio ‘romantico’ in una dimensione al di fuori delle coordinate storiche. La stessa epistola, con la sua versatile predisposizione alla varietà dei contenuti, può farsi mediatrice di un colloquio con i vivi e con i morti, favorendo una dialettica che interseca la totalità cronologica tra passato, presente e futuro, e orientando le mete speculative, come nei versi emblematici Ad Alessandra Lubomirski, persino in ottica escatologica.

Infine il caso delle due epistole ai veteres illustres, Ad Omero e A Virgilio, pubblicate per la prima volta nel 1809 nel volumetto contenente la Traduzione de’ due primi canti dell’Odissea e di alcune parti delle Georgiche (Verona, Gambaretti) e riproposte molto più tardi, con notevoli rimaneggiamenti, in una raccolta di Versi allegata al secondo tomo degli Elogi di letterati (Verona, Libanti, 1826). I due testi, esemplati sul modello di grandi precedenti, Petrarca e Poliziano, al di là del dato erudito che li contraddistingue si configurano come espressione e dichiarazione di una poetica che getta le sue basi sul modello archetipico greco-latino. Questa scelta di programma, da incrociare anche con le direttrici esposte nel sermone Il Parnaso, si rivela particolarmente interessante nel suo intrinseco rapporto con i versi giovanili Al Sig. Abate Paolo Frisi: sulla scorta di fortunati dettami oraziani, la perfezione dell’arte poetica è ben definita, conferendole di conseguenza il sigillo dell’immortalità, nella complessa fusione di ars, simboleggiata dal nitore dell’esametro virgiliano, e di ingenium, associato alla primordialità del canto omerico.

Questa specifica produzione del Pindemonte, proprio in virtù della sua discontinuità stilistico-tematica e della tensione sperimentatrice, nel quadro di un discorso critico sulla genesi e sullo sviluppo dell’epistolografia settecentesca assume una progressiva rilevanza soprattutto alla luce del ruolo di raccordo con l’esperienza ottocentesca. La letteratura, conclusa la parentesi dei vagheggiamenti arcadici, sull’onda di un diffuso credo illuministico decide di affidare i propri messaggi impegnati al verso sciolto: le teorizzazioni programmatiche algarottiane e bettinelliane rappresentano in questo senso una svolta e l’epistola pindemontiana, accogliendone in pieno gli auspici, si colloca proprio sulla linea che apre la strada, come dimostrato in tempi recenti, ai Sepolcri di Foscolo.

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