Clelia Grillo Borromeo Arese. Un salotto letterario settecentesco tra arte, scienza e politica

 

Clelia Grillo Borromeo Arese. Un salotto letterario settecentesco tra arte, scienza e politica, t. I, Sezione di storia della scienza, a c. di Dario Generali, Firenze, Olschki, 2011 (Biblioteca dell’Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri, 6), pp. xvii-244[1]

 

 

Introduzione

 

di

 

Dario Generali

 

 

Fin dalla sua costituzione, l'Edizione Nazionale vallisneriana ha prestato particolare attenzione alla ricostruzione del contesto culturale e scientifico nel quale Vallisneri si mosse e operò, nella convinzione che solo grazie a una conoscenza storiografica soddisfacente di tale ambiente fosse possibile comprendere e illustrare la personalità e l'opera di tale autore e condurre edizioni critiche consapevoli delle sue opere. Chiarire i contorni della sua imponente rete di corrispondenti, collaboratori e sostenitori consente di comprendere le fonti di molti suoi materiali e reperti scientifici, di informazioni e spunti poi apparsi fondamentali per le sue ricerche e per la stesura delle sue opere. Un'attenta valutazione della sua rete aiuta anche a comprendere le modalità con le quali si impegnò, nei primi trent'anni del Settecento, a promuovere i principi della nuova scienza e la propria immagine personale, portando a compimento con successo, anche grazie all'utilizzo di altri strumenti come i periodici eruditi, il proprio disegno egemonico negli ambiti delle scienze naturali e della vita.

 

Fra le pagine forse più interessanti, ma nel contempo sinora meno conosciute, delle relazioni instaurate da Vallisneri con interi ambienti scientifici e culturali c'è sicuramente quella relativa ai rapporti che intrattenne con Clelia Grillo Borromeo, con gli intellettuali che frequentavano il suo salotto e con altri personaggi dell'ambiente milanese con i quali ebbe modo, come, per esempio, con Bartolomeo Corte, di entrare in rapporti di corrispondenza e collaborazione prima e indipendentemente dal suo incontro con Clelia.

 

Quando si prospettò l'opportunità di dar vita, attraverso un convegno, a un momento di riflessione e chiarificazione storiografica sulla figura della nobildonna genovese, che da alcuni anni poteva contare su un nuovo interesse sia da parte degli studi di genere che biografici, l'Edizione Nazionale vallisneriana non esitò a sposare il progetto, raccogliendo ora gli atti di quell'iniziativa nella sua collana.

 

Il convegno su "Clelia Grillo Borromeo Arese. Un salotto letterario settecentesco tra arte, scienza e politica", tenutosi a Cesano Maderno dal 29 novembre al 1° dicembre 2007 per iniziativa della Provincia di Milano; dell'Assessorato alla Cultura della Città di Cesano Maderno; del Dipartimento di Informatica e Comunicazione dell'Università degli Studi dell'Insubria e dell'Edizione Nazionale delle Opere di Antonio Vallisneri affrontò, al di fuori dei limiti angusti delle celebrazioni retoriche e localistiche, il problema della ricostruzione di una figura di aristocratica assai controversa della Milano preilluministica, dotata di una cultura largamente rinomata fra i suoi contemporanei, al centro di drammatiche vicende politiche per i suoi sentimenti filo-spagnoli, protagonista di un noto salotto letterario e del tentativo di organizzazione dell'Accademia dei Vigilanti sotto l'egemonia culturale di Antonio Vallisneri.

 

I lavori vennero articolati, per soli fini organizzativi, ma senza che tali separazioni costituissero un ostacolo al confronto interdisciplinare, nelle quattro sezioni di Storia della Scienza, Storia dell'Arte, Storia e Storia della Letteratura, con il risultato che la figura di Clelia, il suo ambiente culturale, civile e politico di riferimento, le sue relazioni intellettuali e scientifiche, con particolare riguardo al suo rapporto con Antonio Vallisneri, ma naturalmente non solo con lui, vennero fatti oggetto di attenta disamina, delineando un quadro del personaggio e dei suoi riferimenti per molti aspetti inedito. Gli atti del convegno sono ora raccolti, per la sezione di Storia della Scienza, in questo primo volume, a cura di chi scrive, mentre quelli delle altre tre sezioni lo sono in un secondo, a cura di Andrea Spiriti.

 

Il tema proposto dal convegno è stato affrontato con approcci metodologici differenti, che sono andati da quelli concentrati sulla ricostruzione della storia delle idee e degli avvenimenti, fondati sullo studio soprattutto interno delle opere e dei documenti, a quelli di Social science e di Gender Studies, sino agli studi specialistici di settore. In particolare, nella sezione di Storia della Scienza, qui raccolta, sono state seguite linee di ricerca per un verso finalizzate a ricostruire l'ambiente scientifico e culturale milanese di primo Settecento e a illustrare caratteristiche, qualità e quantità della presenza di Vallisneri e dei suoi rapporti con tale contesto e con Clelia e, per l'altro, a chiarificare gli interessi scientifici di Clelia, la natura del suo rapporto con il professore patavino, l'immagine di aristocratica colta e di mecenate con la quale scelse di rapportarsi con la comunità degli studiosi, la sua presenza nei dibattiti culturali e la capacità della storiografia di genere di ricostruire in modo approfondito e articolato il concreto modo di fare scienza nella società del tempo.

 

 

 

Il compito di cercare di fornire un quadro della cultura scientifica milanese nei primi decenni del Settecento è stato affrontato da chi scrive. In tale prospettiva è subito emerso che la situazione culturale cittadina era caratterizzata da notevole eterogeneità, poiché, unitamente alle posizioni tradizionaliste dominanti, non mancavano istituzioni scientifiche di buon livello e studiosi aperti alla nuova scienza.

 

Tra le primarie istituzioni culturali cittadine, la principale, tra Sei e Settecento, fu senza dubbio quella del Collegio gesuitico di Brera. In esso le posizioni erano però molto diversificate e, a fronte del conservatorismo dei membri direttivi interessati fondamentalmente alla cultura umanistica e filosofica, si avevano significative aperture da parte degli scienziati dell'ordine, concentrati in particolare negli studi fisici e matematici. La presenza dei testi fondamentali della nuova scienza nella raccolta libraria del Collegio Braidense testimonia questa attenzione dei docenti di area scientifica verso le nuove prospettive del tempo. Collegata alla matrice culturale e scientifica gesuitica si ebbe inoltre l'interessante ma breve esperienza dell'Accademia dei Cavalieri, limitata ai soli aristocratici o ai lettori di Pavia, equiparati per stato agli aristocratici. L'Accademia fu fondata da Carlo Archinto e da altri nobili e svolse la sua attività dal 1702 al 1706 senza produrre alcuna pubblicazione e terminando poi per varie ragioni, compresa la limitazione che comportava per gli sviluppi dei lavori e delle ricerche l'apertura dell'Accademia ai soli nobili.

 

Un importante nodo non istituzionale di dibattito culturale fu il salotto di Clelia Grillo Borromeo. Fin dal suo arrivo a Milano nel 1707, come moglie di Giovanni Benedetto Borromeo Arese, Clelia Grillo diede vita a un salotto intellettuale che divenne un centro di diffusione della nuova scienza e che, quando la contessa entrò in contatto, nel 1718, direttamente con Vallisneri, fece un salto di qualità, svolgendo il ruolo di volano del modello e delle teorie scientifiche vallisneriane nell'ambiente culturale cittadino. In tale contesto Clelia e Vallisneri progettarono la fondazione di un'accademia sperimentale, che avrebbe dovuto ispirarsi al modello del Cimento, ma anche della Royal Society e dell'Académie des sciences, prendendo il nome di Accademia Clelia dei Vigilanti e per la quale Vallisneri stesso stese lo statuto. L'Accademia non venne però mai realizzata per mancanza di concretezza di Clelia, che perse al gioco i fondi destinati all'iniziativa e che non riuscì poi a ottenere i necessari finanziamenti da Vienna. I soggiorni di Vallisneri nelle residenze borromaiche, le attività sperimentali che realizzò nel salotto di Clelia e le molte relazioni che avviò durante quei periodi gli permisero però di contribuire allo svecchiamento della cultura scientifica milanese soprattutto negli ambiti delle scienze naturalistiche e della vita e di avviare nuovi rapporti di collaborazione con intellettuali del luogo, che lo avrebbero accompagnato per tutti gli anni venti del Settecento, sino alla sua morte inaspettata nel 1730.

 

Un altro fondamentale canale di diffusione del pensiero e dell'immagine di Vallisneri a Milano fu, a partire dal 1715, il medico Bartolomeo Corte, con il quale il professore patavino era entrato in contatto per sedare una polemica accesasi fra questi e il «Giornale de' Letterati d'Italia» per una novella editoriale stesa anonimamente dallo stesso Vallisneri, che si finse però estraneo alla questione con Corte. Con abilità diplomatica Vallisneri riuscì a spegnere la polemica e a entrare in rapporti di collaborazione con Corte, che divenne un fervente sostenitore delle sue tesi e un mezzo della loro diffusione nell'ambiente milanese.

 

Bartolomeo Corte è stato fatto oggetto di recenti studi non tanto per l'originalità della sua produzione scientifica (visto che non realizzò alcuna ricerca o verifica sperimentale), ma per la chiara scelta moderna in un contesto arretrato come era quello milanese del primo Settecento.

 

Corte fu membro di un'antica famiglia aristocratica ed esercitò la professione a solo scopo caritativo, occupandosi, fra le altre cose, del tempo d'infusione dell'anima nel feto e della teoria del contagio vivo in ambito epidemiologico. Raccolse anche una significativa biblioteca, poi confluita, alla sua morte, nei fondi della Braidense e che è stata ora in parte ricostruita grazie alle note di possesso presenti nei suoi libri. Tale biblioteca appare emblematica degli interessi di un medico moderno meccanicista e seguace del metodo sperimentale e configura un complesso di fonti assai simile, per esempio, a quello che caratterizzò la medicina vallisneriana.

 

Al momento dell'incontro con Vallisneri Corte aveva però già maturato la sua scelta di campo moderna. Nel 1702 aveva infatti pubblicato una Lettera che prendeva posizione a favore dell'animazione istantanea del feto e dell'infusione dell'anima nell'embrione sin dal momento del concepimento, con la conseguenza della necessità di battezzare i feti abortivi a qualsiasi stadio del loro sviluppo. L'opera venne condannata l'anno successivo e a nulla valsero l'appoggio di Cosimo III de' Medici e una Disertazione manoscritta che Corte inviò al Sant'Uffizio a difesa delle sue posizioni. Il Sant'Uffizio ribadì la sua condanna e Corte, da cattolico devoto, si acquietò e non ritornò più pubblicamente sulla questione.

 

Il medico milanese divenne, fin dall'inizio del rapporto con Vallisneri, un suo collaboratore e uno strenuo sostenitore delle sue tesi, intervenendo in due polemiche a sostegno delle posizioni dell'amico relativamente al dibattito sull'ipotesi del contagio vivo e a quello connesso alla presa di posizione a favore dell'origine meteorica delle sorgenti perenni.

 

La polemica a sostegno dell'origine microbica dei contagi epidemici fu però maggiormente congeniale ai suoi interessi e lo vide autore di diverse pubblicazioni. L'occasione del suo primo intervento fu la peste di Marsiglia del 1720, quando pubblicò una Lettera nella quale riprese le tesi in proposito di Cogrossi e Vallisneri e rispose a tutte le critiche che erano state mosse a tale teoria.

 

Il dibattito si accese immediatamente l'anno successivo, quando, nel 1721, Muratori pubblicò la seconda edizione del Del governo della peste, opera nella quale si rigettava la tesi eziologica del contagio vivo e si ribadiva quella degli effluvi velenosi. Nello stesso anno uscì la Critologia medica di Alberizzi, anch'essa critica nei confronti delle asserzioni di Corte, il quale pubblicò, a propria volta, una Lettera apologetica volta a confutare le tesi di Muratori, ritenuto l'unico autore degno di considerazione, mentre agli altri oppositori, fra i quali Alberizzi e Ricca, il quale aveva preso posizione a favore dell'ipotesi degli effluvi velenosi di Muratori, rivolse solo cenni sprezzanti.

 

Giovane medico, che occupava però la cattedra di Anatomia all'Università di Torino, Ricca era in rapporti di collaborazione con Muratori e, nei tre volumi, usciti nel 1720, 1721 e 1722 della sua Costitutio epidemica, si schierò a fianco di Muratori contro Ricca. Nel 1722 Corte rispose con l'Epistola ad Clar. Virum Carolum Richam, non risparmiando attacchi personali al suo antagonista, spingendo poco dopo ancora oltre il livello della polemica, con la minaccia di pubblicare un pamphlet al vetriolo contro il medico torinese, evidenziando i molti plagi presenti nei volumi della Costitutio epidemica. La minaccia colse nel segno e Ricca chiese a Vallisneri e Muratori di intercedere presso Corte per dissuaderlo dal suo proposito. Il professore patavino si offerse subito come mediatore e ottenne che Corte rinunciasse a denunciare i plagi di Ricca in cambio delle sue scuse ufficiali e del riconoscimento della correttezza delle tesi di Corte, pubblicando poi il carteggio di conciliazione nel 1724 su «La Galleria di Minerva riaperta», dando così il massimo di pubblicità all'esito per lui positivo dello scontro indiretto con Muratori, avvenuto con la mediazione di Corte e di Ricca.

 

Corte intervenne anche, qualche anno dopo, con una Lettera a sostegno delle tesi sull'origine meteorica delle acque sorgenti, appoggiando Vallisneri nella polemica contro Gualtieri, che ne aveva attaccato la Lezione accademica intorno l'origine delle fontane. Nello scritto, uscito nella seconda edizione del De' corpi marini, Corte prendeva in considerazione le sorgenti del Lago di Como e di quello Maggiore, facendo inoltre un computo delle precipitazioni atmosferiche di quei bacini idrografici e sottolineando che la loro entità era sufficiente ad alimentare il flusso delle acque delle sorgenti e dei fiumi relativi, mostrandosi, anche in questo caso, un valido collaboratore del professore patavino e un efficace diffusore delle sue teorie.

 

Il rapporto fra Clelia e Vallisneri è ben testimoniato nel carteggio di quest'ultimo, come ha evidenziato Ivano Dal Prete analizzando soprattutto la corrispondenza superstite fra i due e quella dello scienziato scandianese con Giuseppe Antonio Sassi.

 

Clelia organizzò il suo primo incontro con Vallisneri, il 23 giugno 1718, in modo scenografico, seguendo il copione classico del potente che rende omaggio al filosofo. Il professore patavino intese subito i termini del rapporto e li accettò con entusiasmo, anche in considerazione dei vantaggi che la protezione di una mecenate così altolocata poteva garantire a lui e al suo disegno culturale egemonico nei settori delle scienze naturalistiche e della vita. A propria volta Clelia ottenne immediatamente notorietà negli ambienti intellettuali del tempo e divenne l'esempio di aristocratica italiana colta e protettrice degli intellettuali.

 

Grazie ai soggiorni estivi nei palazzi Borromeo e alla frequentazione del salotto di Clelia, Vallisneri ebbe anche l'opportunità di ampliare notevolmente la sua rete di corrispondenti nell'ambiente milanese, che, negli anni Venti del Settecento, divenne uno dei principali nodi del complesso delle sue relazioni culturali e professionali.

 

L'efficacia della costituzione di un gruppo filo vallisneriano milanese apparve evidente in occasione della polemica scatenata dallo scienziato scandianese contro Nicolò Gualtieri, che aveva attaccato in termini assai disinvolti la tesi del professore patavino, che attribuiva alle precipitazioni atmosferiche l'origine delle acque che alimentavano le sorgenti. In tale circostanza Clelia, gli aristocratici e intellettuali del suo salotto e tutti i corrispondenti milanesi di Vallisneri si schierarono al suo fianco in modo compatto e la prima scrisse a Violante Beatrice di Baviera, a cui Gualtieri aveva dedicato il suo libro, per screditare il medico fiorentino e la stessa dedica di un'opera ritenuta insolente e mistificante.

 

Dal 1725 in avanti i rapporti tra Clelia e Vallisneri vennero però lentamente raffreddandosi, a causa del fallimento del progetto dell'Accademia dei Vigilanti, che la contessa genovese non fu più disposta a finanziare personalmente anche a causa delle somme enormi che aveva nel frattempo perso al gioco. Vallisneri, dal canto suo, pur continuando a coltivare i rapporti con Clelia e con l'ambiente che a lei faceva riferimento, aveva maturato la consapevolezza del carattere salottiero dei suoi interessi scientifici, molto diverso dal suo approccio e dalle sue esigenze di scienziato impegnato sul versante avanzato della ricerca, e, almeno nella corrispondenza con Antonio Conti, ne ridimensionò l'apprezzamento, senza però mai smettere, sul piano pubblico, di enfatizzarne il ruolo esemplare di aristocratica erudita e di generosa mecenate.

 

L'appoggio fornito dall'ambiente milanese a Vallisneri, in occasione della polemica che scatenò contro Gualtieri con la seconda edizione della Lezione accademica, testimonia gli interessi, ben evidenziati da Francesco Luzzini, di Clelia e degli altri amici e corrispondenti milanesi del professore patavino per i suoi studi di scienze della Terra.

 

Il coinvolgimento della contessa genovese in questi temi prese spunto dalla dedica che Vallisneri le fece nel 1721 del suo volume De' corpi marini, che su' monti si trovano, non tanto per il particolare interesse che la sua interlocutrice poteva nutrire per tali argomenti, ma per evitare di dedicarle altre opere, come l'Istoria della generazione, che trattavano temi scabrosi e inadatti alla sua condizione di donna e di aristocratica. Nonostante questo, l'attenzione poi sviluppata dall'ambiente milanese per le tesi vallisneriane di scienze della Terra fu notevole sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, concretizzandosi, fra le altre cose, in significativi scambi di materiali museografici. In particolare Clelia trasmise reperti a Vallisneri e questi passò molti pezzi doppi del suo museo a Giuseppe Antonio Sassi, che, entusiasmatosi all'argomento, aveva iniziato una raccolta di minerali.

 

Clara Silvia Roero ritorna sull'importante progetto dell'Accademia dei Vigilanti, rilevando come le numerose dediche a Clelia di opere di scienziati e intellettuali noti, che seguirono l'esempio di Vallisneri, contribuirono in modo significativo a creare l'immagine di aristocratica erudita e di mecenate della contessa genovese, accreditandola per le richieste di finanziamento per l'Accademia che a un certo punto avanzò, come si sa senza successo, al governo austriaco di Vienna.

 

Fra i molti interessi di Clelia vi furono sicuramente quelli per la matematica, che coltivò con competenza e ad alti livelli di consapevolezza.

 

Il suo carteggio con Guido Grandi testimonia i rapporti molto cordiali che intrattenne con il matematico cremonese, che le dedicò nel 1728 i Flores geometrici, un volume nel quale erano studiate le curve Rodonee e quelle dette dal camaldolese Clelie in suo onore, illustrando i procedimenti matematici seguiti per costruirle. L'omaggio alla contessa valorizzava in questo modo l'usuale sensibilità femminile alla grazia floreale, ma si adattava anche alla sua eccezionalità intellettuale, solo in virtù della quale poteva comprendere la bellezza di quei fiori geometrici, disegnati da curve matematiche.

 

Il rilievo di come il femminismo anglosassone degli anni Settanta e Ottanta del Novecento e il fiorire dei Women Studies, dei Gender Studies e degli studi di storia sociale della scienza, sempre soprattutto d'area anglosassone, abbia permesso di trovare oggi del tutto opportuno un convegno come quello su Clelia Grillo Borromeo, che vent'anni fa sarebbe stato impensabile in ambito accademico, apre il contributo di Marta Cavazza, che ripercorre il difficile imporsi in Italia di quegli studi, evidenziandone però nel contempo l'efficacia nell'ottica di una non parziale ricostruzione storiografica della scienza.

 

In Italia l'interesse per la scienza al femminile si fece infatti attendere a lungo, anche in quanto in passato tali studi furono appannaggio quasi esclusivamente maschile. Nonostante questo, da metà Seicento in avanti vi furono donne che si occuparono di scienza, anche se non fecero quasi mai parte di istituzioni ufficiali e la loro attività si svolse in spazi privati, come furono, per esempio, i salotti.

 

Le figure delle donne competenti di scienza nel Settecento, come Clelia, Laura Bassi, Cristina Roccati e Anna Morandi, non sono però da vedere come preannunci della conquista dei diritti civili, che si avrà solo da metà Ottocento in avanti. Esse furono forme di spettacolarizzazione della scienza e dell'eccezionalità di casi isolati. I rari esempi di donne scienziate erano ritenuti delle eccezioni, che non modificavano la convinzione generale dell'inopportunità degli studi femminili.

 

La maggior parte delle donne italiane del Settecento che si occuparono di questioni scientifiche non furono però scienziate esse stesse, inserite in istituzioni come Laura Bassi, Anna Morandi, Cristina Roccati e Maria Dalle Donne. Furono, come Clelia, aristocratiche istruite nella scienza, interessate ai dibattiti culturali e scientifici, ma non impegnate in prima persona nella ricerca o nell'insegnamento.

 

Gli studi di storia della scienza sensibili agli aspetti sociali della scienza e alle categorie interpretative della storiografia di genere, hanno aiutato enormemente, secondo Cavazza, non solo a comprendere il difficile imporsi della scienza femminile, ma anche e più in generale, forme e caratteristiche del fare scienza da parte di uomini e di donne.

 

Paula Findlen ha illustrato le particolari caratteristiche del rapporto fra Clelia e Vallisneri e il modello di amicizia filosofica tra uno studioso e un'aristocratica nell'Italia del Settecento.

 

Clelia godette di una significativa notorietà come donna erudita e, dal 1720 in avanti, le furono dedicati numerosi volumi da letterati e scienziati. Buona parte di quella fama fu conseguenza del rapporto che instaurò con Vallisneri dal 1718, come si è visto recandosi inaspettata presso la sua abitazione di Padova. Vallisneri era al culmine della sua notorietà e al centro di una rete imponente di relazioni epistolari e fu in grado di dare un enorme risalto al profilo intellettuale ritenuto eccezionale di Clelia e alla sua generosità da mecenate con gli intellettuali di maggior valore e rilievo.

 

Tale incontro cambiò la vita di entrambi. Il professore patavino fu diverse volte ospite nei palazzi borromaici, fece proprio il progetto dell'Accademia dei Vigilanti e ampliò in modo significativo la sua rete di corrispondenti sfruttando la frequentazione del salotto di Clelia e dell'ambiente intellettuale e aristocratico milanese. A propria volta, la contessa genovese uscì dall'ombra nella quale prima si trovava e divenne il modello di "filosofessa" italiana, da contrapporre alla figura della marchesa delineata da Fontenelle.

 

Già al momento del suo ingresso nella famiglia Borromeo, nel 1707, Clelia poteva contare su una solida formazione culturale, avuta nel collegio dove era stata educata. Inizialmente i suoi interessi erano più letterari, ma da un certo momento in avanti si interessò principalmente della nuova scienza e delle novità da questa proposte. Si può dire che almeno dal 1710 cominciò a coltivare gli interessi e le letture che le permisero nel 1718 di impressionare Vallisneri per la sua erudizione in ambito scientifico.

 

Questa formazione fu assai probabilmente favorita dalle discussioni tenute a Palazzo Borromeo con Carlo Mazzucchelli e Francesco Palazzo, dalla lettura dei fascicoli del «Giornale de' Letterati d'Italia», delle opere di Muratori e di quelle di Vallisneri, che era lo scienziato italiano del tempo più noto, qualificato e prolifico di scritti.

 

La chiusura culturale dell'ambiente milanese e, in particolare, della famiglia Borromeo e del suocero, il conte Carlo (che era anche stato ostile al matrimonio del figlio con Clelia), indusse quest'ultima a cercare interlocutori più adatti al suo livello culturale e alla sua apertura mentale, quale era Vallisneri, figura emblematica di filosofo naturale del primo Settecento italiano. Quantunque l'incontro fra i due sia avvenuto nel 1718, si può dire che fossero anni che Clelia si stesse preparando e fosse pronta per quella relazione intellettuale.

 

Nel Sei-Settecento, insieme al complesso dell'immagine del sapere, si modificarono le caratteristiche che permettevano di qualificare erudito uno studioso. Precedentemente una donna, per ambire all'immagine di "filosofessa", doveva vantare una cultura e delle virtù di tipo umanistico. Da metà Seicento divenne necessario conoscere le scienze e Clelia seguì questo nuovo modello di erudizione.

 

Il rapporto tra Vallisneri e Clelia e l'immagine di mecenate di questa rientrava in modelli già sperimentati, come quelli della relazione intellettuale fra Descartes e la principessa Elisabetta di Boemia e del mecenatismo aristocratico femminile di Cristina di Svezia e della sua corte romana.

 

Se Clelia era un'aristocratica in cerca di un filosofo, Vallisneri era un filosofo in cerca di un'aristocratica. Dopo l'incontro a Padova, per Vallisneri Clelia assunse il ruolo esemplare di donna erudita italiana, da contrapporre agli altri modelli europei del tempo, come la presentò nel 1721 nella dedica del De' corpi marini. Sempre la figura di Clelia fu alla base della posizione che assunse Vallisneri, come principe dell'Accademia dei Ricovrati di Padova, nel dibattito relativo all'opportunità o meno degli studi femminili.

 

Sin dal suo primo soggiorno a Milano, nel 1722, Vallisneri fece compiere un salto qualitativo al dibattito scientifico del salotto di Clelia, avviò nuovi rapporti con studiosi, medici e aristocratici di quell'ambiente e tornò a Padova con diversi doni della contessa genovese, compreso il suo ritratto, che doveva testimoniare l'intensità e la confidenza del loro rapporto intellettuale.

 

Da quando emerse il progetto di realizzare l'Accademia dei Vigilanti, della quale Vallisneri avrebbe dovuto essere il presidente, il salotto di Clelia assunse subito un'immagine nuova e più professionale, presentandosi come una comunità intellettuale milanese caratterizzata dall'adesione alla nuova scienza vallisneriana.

 

Una volta resa nota da Vallisneri con la dedica del De' corpi marini, molti altri autori seguirono il suo esempio e Clelia ottenne rapidamente la fama di mecenate generosa e di donna italiana vivente più colta, al punto che il sostegno del professore patavino smise di essere indispensabile, vista la celebrità che ormai aveva conquistato.

 

Vallisneri aveva infatti fornito ritratti pubblici dei meriti di Clelia nella dedica del De' corpi marini, ma anche in altre opere e nel suo carteggio. Nella seconda edizione del 1728 del De' corpi marini fornì anche un ritratto della sua "eroina", che la stessa Clelia aveva commissionato e fatto incidere a Milano a sue spese da Marc'Antonio Dal Re, seguendo con attenzione il lavoro e i particolari del suo aspetto, che fece correggere più volte sin tanto che fu soddisfatta del risultato.

 

I ritratti delineati da Vallisneri di Clelia interferivano con l'immagine della donna del tempo e con la discussione che in quel periodo si accese sulla possibilità degli studi femminili. Quando si trattò, nel 1729, di pubblicare la raccolta degli interventi sugli studi delle donne che aveva preso avvio dal dibattito tenutosi presso l'Accademia dei Ricovrati, si evitò di inserire la traduzione dello scritto di Conti, che asseriva l'impossibilità della mente femminile, a causa della sua debolezza, di applicarsi alle questioni più complesse. La tesi di Vallisneri non poteva non tener conto delle lodi che sempre riservava a Clelia, definendola una mente lucidissima, ben superiore a quella di tanti studiosi ritenuti dei maestri. Sottolineava però l'eccezionalità di questo caso, traendone come conseguenza quella di consentire gli studi solo a quelle poche donne con capacità superiori alla norma del loro sesso.

 

Vallisneri e altri studiosi suoi contemporanei crearono un'immagine di Clelia che l'accreditò, negli anni Venti del Settecento, come la donna più colta d'Italia. Nello stesso tempo il professore patavino si rese anche conto della sua inaffidabilità pratica per l'incapacità che ebbe di portare a compimento il progetto dell'Accademia dei Vigilanti. Si trattava pertanto di un'aristocratica assai colta e di una generosa mecenate, ma troppo dispersa e superficiale, con la quale non si poteva andare oltre un'ottima amicizia filosofica.

 

Dopo la morte di Vallisneri la notorietà di Clelia andò dissolvendosi rapidamente, per la sua incapacità di mantenere unito il gruppo di intellettuali del suo salotto, che si erano aggregati anche grazie all'azione e alla presenza dello scienziato scandianese. All'inizio degli anni Trenta si imposero inoltre all'attenzione degli studiosi Maria Gaetana Agnesi e Laura Bassi, la quale ultima si addottorò a Bologna e ivi ottenne una lettura, occupando quindi quegli spazi istituzionali che Clelia non ebbe mai e ai quali, stante la sua condizione, non avrebbe mai aspirato. Clelia fu infatti donna erudita e mecenate, ma non ella stessa scienziata, poiché la sua condizione di aristocratica di alto rango la portava a proteggere i letterati, ma non a svolgere in prima persona attività professionale di studio e di ricerca.

 

Paola Bertucci ha preso in considerazione le caratteristiche degli interessi di Clelia e dei suoi rapporti con la comunità dei dotti e le ragioni della mancanza di una sua produzione scientifica diretta.

 

A differenza di quanto sottolineato da Antonio Conti nel 1716, in Italia non mancavano donne colte, in grado di interloquire, come alcune loro contemporanee di Francia, Inghilterra e Germania, con i più qualificati docenti e studiosi. In particolare Vallisneri conobbe due anni dopo Clelia, la cui fama di donna erudita contribuì a far circolare per l'Italia e l'Europa. Oltre ad analizzare forme e caratteristiche della notorietà che ottenne tale aristocratica dopo l'incontro con il professore patavino, appare rilevante sottolineare come la contessa genovese non sposò l'ideale egualitario della Repubblica delle lettere, impegnandosi in prima persona nella ricerca e negli studi, ma si ritagliò un ruolo di mecenate al di sopra della mischia letteraria, secondo l'ideale della matrona romana.

 

La scarsità della documentazione rende difficile ricostruire con chiarezza gli interessi di Clelia e il livello a cui fu in grado di approfondirli. Le testimonianze dei suoi contemporanei la qualificano però in modo concorde come una donna straordinariamente colta e brillante. In particolare sembra che avesse notevoli conoscenze matematiche e il viaggiatore Giuseppe Marco Baretti ci lasciò la testimonianza dell'esistenza di suoi manoscritti su tali argomenti. A questi interessi aggiunse però quelli in ambito fisico e, soprattutto grazie al sostegno di Vallisneri, naturalistico.

 

Nel palazzo Borromeo aveva allestito un fornito gabinetto di fisica, dotato di strumenti scientifici e di libri selezionati. In esso si trovava anche una moderna pompa pneumatica, con la quale condusse numerosi esperimenti in collaborazione e sotto la guida scientifica di Vallisneri. Pure concepì il progetto di un telaio meccanico capace di tessere il pizzo, mostrandosi attenta anche agli aspetti tecnologici e applicati della scienza.

 

Nel corso del Settecento in Italia i casi di donne colte si moltiplicarono, ma vennero sempre considerate delle eccezioni, che rimandavano a delle eroine, capaci di superare i limiti tipici del loro sesso. Come si è visto, da quando Vallisneri scoprì Clelia e ne diffuse la fama, a questa vennero dedicate numerose opere e il suo salotto fu visitato da diversi stranieri di passaggio, quali, per esempio, Montesquieu, che, a propria volta, si espresse in modo assai lusinghiero nei suoi confronti. Questo non modificò però mai l'immagine di eccezionalità della contessa genovese e delle altre donne erudite. La stessa Clelia si era costruita l'immagine di matrona colta e di mecenate che la distingueva dalle altre donne e di aristocratica, che la distingueva dalla maggior parte dei membri della Repubblica delle lettere.

 

 

 

I diversi approcci e punti di vista storiografici dei contributi raccolti nella sezione di Storia della Scienza del presente volume, unitamente a quelli che hanno trovato collocazione nel tomo annesso, che ha ospitato gli scritti delle sezioni di Storia dell'Arte, Storia e Storia della Letteratura, delineano un'immagine di Clelia ben più complessa, ma anche assai più realistica e legata al suo contesto storico, di quella sinora conosciuta. Per un verso sembra essersi definitivamente accertata la mancanza di impegno scientifico professionale della contessa genovese, ben inquadrabile in un'erudizione vasta quanto salottiera, nel bene e nel male segnata da quella levitas che fu la cifra che caratterizzò l'enorme diffusione che ebbe la scienza settecentesca al di fuori degli ambienti istituzionali, fra il pubblico aristocratico e borghese dei salotti e della accademie. Per l'altro, facendo uso dei punti di vista e degli strumenti della storia sociale della scienza e dei Gender Studies, sono state illustrate, a un soddisfacente livello di chiarezza, le ragioni della scelta di Clelia per un tale modello di mecenatismo e di cultura scientifica, perfettamente in linea con la sua condizione di donna e di aristocratica d'alto rango.

 

Lo stesso rapporto con Vallisneri ne è uscito meglio definito nei particolari, nelle modalità di relazione e nelle ragioni di vantaggio reciproco che lo favorirono e lo resero possibile.

 

I lavori del convegno e i relativi contributi raccolti negli atti hanno infine contribuito ad illustrare la singolare figura intellettuale di Clelia e i suoi molteplici interessi culturali, ma hanno anche fornito un ausilio significativo per tratteggiare l'ambiente milanese del primo Settecento, la presenza in esso di istituzioni, gruppi e ambienti nei quali la nuova scienza trovò seguaci consapevoli e competenti, nonostante l'arretratezza culturale cittadina, e le modalità delle relazioni sociali che favorirono il diffondersi dei nuovi punti di vista. Hanno inoltre analizzato con notevole attenzione l'influsso che i soggiorni di Vallisneri e la creazione da parte sua di una rilevante rete di corrispondenti e collaboratori nella realtà milanese ebbero sullo svecchiamento della scienza e della professione medica in quel contesto e le conseguenze che quei rapporti provocarono sulla sua attività scientifica e sul suo progetto di egemonia culturale nel settore delle scienze naturalistiche e della vita, raggiungendo gli obiettivi che l'Edizione Nazionale vallisneriana si era posta partecipando alla promozione e alla realizzazione di questa iniziativa.

 

 

 

Il progetto di sintesi del convegno è stato di Dario Generali, Andrea Spiriti ed Ezio Vaccari; l'organizzazione pratica del convegno di Andrea Spiriti; il progetto e la cura del primo volume degli atti, relativo alla sezione di Storia della Scienza, di Dario Generali; quelli del secondo, contenente i contributi di Storia dell'Arte, Storia e Storia della Letteratura, di Andrea Spiriti.

 

 

 



[1] Riproduciamo qui di seguito l’Indice generale del volume (p. 243): Dario Generali, Introduzione, pp. v-xvii; Ivano Dal Prete, L’«Eroina» dei Filosofi: Clelia Grillo Borromeo nel carteggio di Antonio Vallisneri, pp. 91-112; Francesco Luzzini, Le Scienze della Terra nella corrispondenza milanese di Antonio Vallisneri: Clelia e gli altri, pp. 113-125; Clara Silvia Roero, L’omaggio dei matematici a Clelia Grillo Borromeo. Le curve Rhodoneae e Cloeliae, pp. 127-147; Marta Cavazza, Dalla rimozione alla riscoperta. Gli studi sul contributo femminile alla scienza nell’Italia del Settecento, pp. 149-163; Paula Findlen, Mio filosofo caro: Clelia Grillo Borromeo, Antonio Vallisneri, and the Nature of Philosophical Friendship in Eighteenth-Century Italy, pp. 165-219; Paola Bertucci, Una matrona nella Repubblica delle Lettere. Clelia Grillo Borromeo e la socialità scientifica del primo Settecento, pp. 221-220; Indice dei nomi, pp. 235-242.

 

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